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sabato 29 gennaio 2011

PAOLO E FRANCESCA (Dante - Divina Commedia )


Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito nomar le donne antiche e ' cavalieri, pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
I' cominciai: «Poeta, volontieri parlerei a quei due che 'nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggeri».
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega per quello amor che i mena, ed ei verranno». Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: «O anime affannate, venite a noi parlar, s'altri nol niega!». Quali colombe dal disio chiamate con l'ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l'aere dal voler portate; cotali uscir de la schiera ov'è Dido, a noi venendo per l'aere maligno, sì forte fu l'affettuoso grido.
«O animal grazioso e benigno che visitando vai per l'aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno, se fosse amico il re de l'universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c'hai pietà del nostro mal perverso. Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che 'l vento, come fa, ci tace. Siede la terra dove nata fui su la marina dove 'l Po discende per aver pace co' seguaci sui.
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona. Amor condusse noi ad una morte: Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand'io intesi quell'anime offense, china' il viso e tanto il tenni basso, fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?». Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!». Poi mi rivolsi a loro e parla' io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri a lagrimar mi fanno tristo e pio. Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri, a che e come concedette Amore che conosceste i dubbiosi disiri?». E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. Ma s'a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. Quando leggemmo il disiato riso esser baciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante».
Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangea; sì che di pietade io venni men così com'io morisse.
E caddi come corpo morto cade.

Com'ebbi compreso dal mio maestro chi erano quelle dame e quegli eroi, fui come sgomento e smarrito. Poi gli chiesi: "Poeta, vorrei parlare a quei due che vanno insieme e che paiono leggeri nella bufera". "Aspetta che siano venuti più vicini a noi -mi rispose -, poi pregali per quell'amor che li lega e loro verranno". Appena il vento li piegò verso di noi, esclamai: "Oh anime tormentate, venite a parlarci, se nessuno lo vieta!".
Come colombe, chiamate dai piccoli, con le ali levate e ferme al dolce nido vengono per l'aria, spinte dall'istinto, così quelle anime dalla schiera di Didone si staccarono attraverso l'aria maligna, sentendo il mio affettuoso grido.
"Oh uomo cortese e benigno, che vieni a visitare, in quest'aria tenebrosa, chi ha macchiato la terra del proprio sangue, se ci fosse amico il re dell'universo, lo pregheremmo per la tua pace, avendo tu pietà della nostra perversione.
Quel che a voi piacerà dire e ascoltare piacerà anche a noi, almeno finché il vento lo permetterà.
La mia città natale lambisce il mare ove sfocia il Po, che coi suoi affluenti trova pace. L'amore, che subito accende i cuori gentili, fece innamorare quest'ottima persona, che mi fu tolta in un modo ch'ancor m'offende.
L'amore, che induce chi viene amato a ricambiare, mi prese così forte per le maniere di costui, che, come vedi, ancor non m'abbandona.
L'amore ci portò a una stessa morte: Caina in sorte attende l'assassino".
Ecco le parole che ci dissero.
E io, dopo aver ascoltato quelle anime travagliate, chinai il viso e rimasi così mesto che il poeta a un certo punto mi chiese: "A che pensi?". Io gli risposi: "Ahimè, quanti dolci pensieri, quanto desiderio condusse costoro al tragico destino!".
Poi mi rivolsi direttamente a loro e chiesi: "Francesca, le tue pene mi strappano dolore e pietà. Ma dimmi: al tempo dei dolci sospiri, come faceste ad accorgervi che il desiderio era reciproco?".
E quella a me: "Non c'è maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella disgrazia; cosa che sa bene il tuo maestro. Ma se tanto ti preme conoscere l'inizio della nostra storia, te lo dirò unendo le parole alle lacrime. Stavamo leggendo un giorno per diletto come l'amore vinse Lancillotto; soli eravamo e in perfetta buona fede.
In più punti di quella lettura gli sguardi s'incrociarono, con turbamento, ma solo uno ci vinse completamente. Quando leggemmo che il sorriso di lei venne baciato dal suo amante, costui, che mai sarà da me diviso, la bocca mi baciò tutto tremante. Traditore fu il libro e chi lo scrisse: quel giorno finimmo lì la lettura".
Mentre uno spirito questo diceva, l'altro piangeva, sicché ne rimasi sconvolto, al punto che svenni per l'emozione e caddi come corpo morto cade.

INFERNO, CANTO V - DIVINA COMMEDIA -- Dante Alighieri

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