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lunedì 31 gennaio 2011

DOVE STA IL CUORE DELL'INNOVAZIONE E DEL SUCCESSO?


Per chi ha la curiosita' e l'istinto della scoperta nulla offre così tante possibilità come può fare la rete.
Arrivare alla scoperta di qualcosa per un percorso imprevisto accade più spesso di quanto si pensi. Accade spesso anche nella vita e nel lavoro. Ma ne siamo meno sorpresi perché pensiamo "così é la vita"!
In Internet ci si aspetta organizzazione e percorsi precisi e lineari. Ma non é sempre così. La rete di internet é ciò che io ( Tiziana) paragono al "percorso della vita": una fitta rete di opportunità che si intersecano, da seguire volontariamente, ma che si scontrano con la fatalità".
Anche nell' uso dei " motori di ricerca" capita spesso di imbattersi in qualcosa di interessante con un percorso che non é il più ovvio.
La curiosità e la capacità di cogliere nessi non sempre ovvi possono portare alle scoperte più interessanti.
La capacità di sorprendere, di offrire l' inaspettato, é una delle caratteristiche peculiari della rete. Ma ci vuole lo spirito giusto ... l'attenzione ai dettagli ... l'intuito per cambiare percorso quando si coglie un segnale stimolante. Ognuno di noi può fare scoperte molto interessanti con un pizzico di curiosità e di fantasia.
Anche indipendentemente dalle risorse che ci offrono le nuove tecnologie, il cuore dell'innovazione e del successo sta spesso nella capacità di cogliere una tendenza nascente, una possibilita' non ancora percepita da tutti e verificare concretamente la possibilita' di trarne in qualche modo un vantaggio.
( Testo liberamente tratto da "La coltivazione dell'internet" di Giancarlo Livraghi )

domenica 30 gennaio 2011

IN PUNTA DI PIEDI (NATHALIE)


IN PUNTA DI PIEDI
( NATHALIE)
Erano pezzi di vetro
sparsi sul nostro cammino
le nostre difese
lasciate sospese.

Fluida acqua che scorre
i nodi miei già si sciolgono
come neve d’estate
ma ti guardo tornare su letti di spine
le nostre parole lontane dal cuore
le nostre paure immotivate, congelate.

L’amore con te è come camminare
in punta di piedi senza potersi fermare

Ma sento il tuo calore forte
negli angoli bui delle tue stanze gelate
appesa al tuo respiro mi vedo cadere
per poi ritornare a sentirmi felice.

Ma la tensione che sento verso il tuo respiro
mi distoglie dal pensiero
di tutto ciò che abbiamo perso
e credo a volte di volere riparare
di poter ricostruire
tutto nuovo e un po’ diverso.

Ma sento il tuo calore forte
negli angoli bui delle tue stanze gelate
appesa al tuo respiro mi vedo cadere
per poi ritornare a sentirmi felice.
Mi fermo di fronte al tuo viso
tu che dormi disteso e non sai
di poterti affidare
di poterti fidare
di me.

sabato 29 gennaio 2011

PAOLO E FRANCESCA (Dante - Divina Commedia )


Poscia ch'io ebbi il mio dottore udito nomar le donne antiche e ' cavalieri, pietà mi giunse, e fui quasi smarrito.
I' cominciai: «Poeta, volontieri parlerei a quei due che 'nsieme vanno, e paion sì al vento esser leggeri».
Ed elli a me: «Vedrai quando saranno più presso a noi; e tu allor li priega per quello amor che i mena, ed ei verranno». Sì tosto come il vento a noi li piega, mossi la voce: «O anime affannate, venite a noi parlar, s'altri nol niega!». Quali colombe dal disio chiamate con l'ali alzate e ferme al dolce nido vegnon per l'aere dal voler portate; cotali uscir de la schiera ov'è Dido, a noi venendo per l'aere maligno, sì forte fu l'affettuoso grido.
«O animal grazioso e benigno che visitando vai per l'aere perso noi che tignemmo il mondo di sanguigno, se fosse amico il re de l'universo, noi pregheremmo lui de la tua pace, poi c'hai pietà del nostro mal perverso. Di quel che udire e che parlar vi piace, noi udiremo e parleremo a voi, mentre che 'l vento, come fa, ci tace. Siede la terra dove nata fui su la marina dove 'l Po discende per aver pace co' seguaci sui.
Amor, ch'al cor gentil ratto s'apprende prese costui de la bella persona che mi fu tolta; e 'l modo ancor m'offende. Amor, ch'a nullo amato amar perdona, mi prese del costui piacer sì forte, che, come vedi, ancor non m'abbandona. Amor condusse noi ad una morte: Caina attende chi a vita ci spense».
Queste parole da lor ci fuor porte.
Quand'io intesi quell'anime offense, china' il viso e tanto il tenni basso, fin che 'l poeta mi disse: «Che pense?». Quando rispuosi, cominciai: «Oh lasso, quanti dolci pensier, quanto disio menò costoro al doloroso passo!». Poi mi rivolsi a loro e parla' io, e cominciai: «Francesca, i tuoi martìri a lagrimar mi fanno tristo e pio. Ma dimmi: al tempo d'i dolci sospiri, a che e come concedette Amore che conosceste i dubbiosi disiri?». E quella a me: «Nessun maggior dolore che ricordarsi del tempo felice ne la miseria; e ciò sa 'l tuo dottore. Ma s'a conoscer la prima radice del nostro amor tu hai cotanto affetto, dirò come colui che piange e dice.
Noi leggiavamo un giorno per diletto di Lancialotto come amor lo strinse; soli eravamo e sanza alcun sospetto.
Per più fiate li occhi ci sospinse quella lettura, e scolorocci il viso; ma solo un punto fu quel che ci vinse. Quando leggemmo il disiato riso esser baciato da cotanto amante, questi, che mai da me non fia diviso, la bocca mi baciò tutto tremante.
Galeotto fu 'l libro e chi lo scrisse: quel giorno più non vi leggemmo avante».
Mentre che l'uno spirto questo disse, l'altro piangea; sì che di pietade io venni men così com'io morisse.
E caddi come corpo morto cade.

Com'ebbi compreso dal mio maestro chi erano quelle dame e quegli eroi, fui come sgomento e smarrito. Poi gli chiesi: "Poeta, vorrei parlare a quei due che vanno insieme e che paiono leggeri nella bufera". "Aspetta che siano venuti più vicini a noi -mi rispose -, poi pregali per quell'amor che li lega e loro verranno". Appena il vento li piegò verso di noi, esclamai: "Oh anime tormentate, venite a parlarci, se nessuno lo vieta!".
Come colombe, chiamate dai piccoli, con le ali levate e ferme al dolce nido vengono per l'aria, spinte dall'istinto, così quelle anime dalla schiera di Didone si staccarono attraverso l'aria maligna, sentendo il mio affettuoso grido.
"Oh uomo cortese e benigno, che vieni a visitare, in quest'aria tenebrosa, chi ha macchiato la terra del proprio sangue, se ci fosse amico il re dell'universo, lo pregheremmo per la tua pace, avendo tu pietà della nostra perversione.
Quel che a voi piacerà dire e ascoltare piacerà anche a noi, almeno finché il vento lo permetterà.
La mia città natale lambisce il mare ove sfocia il Po, che coi suoi affluenti trova pace. L'amore, che subito accende i cuori gentili, fece innamorare quest'ottima persona, che mi fu tolta in un modo ch'ancor m'offende.
L'amore, che induce chi viene amato a ricambiare, mi prese così forte per le maniere di costui, che, come vedi, ancor non m'abbandona.
L'amore ci portò a una stessa morte: Caina in sorte attende l'assassino".
Ecco le parole che ci dissero.
E io, dopo aver ascoltato quelle anime travagliate, chinai il viso e rimasi così mesto che il poeta a un certo punto mi chiese: "A che pensi?". Io gli risposi: "Ahimè, quanti dolci pensieri, quanto desiderio condusse costoro al tragico destino!".
Poi mi rivolsi direttamente a loro e chiesi: "Francesca, le tue pene mi strappano dolore e pietà. Ma dimmi: al tempo dei dolci sospiri, come faceste ad accorgervi che il desiderio era reciproco?".
E quella a me: "Non c'è maggior dolore che ricordarsi del tempo felice nella disgrazia; cosa che sa bene il tuo maestro. Ma se tanto ti preme conoscere l'inizio della nostra storia, te lo dirò unendo le parole alle lacrime. Stavamo leggendo un giorno per diletto come l'amore vinse Lancillotto; soli eravamo e in perfetta buona fede.
In più punti di quella lettura gli sguardi s'incrociarono, con turbamento, ma solo uno ci vinse completamente. Quando leggemmo che il sorriso di lei venne baciato dal suo amante, costui, che mai sarà da me diviso, la bocca mi baciò tutto tremante. Traditore fu il libro e chi lo scrisse: quel giorno finimmo lì la lettura".
Mentre uno spirito questo diceva, l'altro piangeva, sicché ne rimasi sconvolto, al punto che svenni per l'emozione e caddi come corpo morto cade.

INFERNO, CANTO V - DIVINA COMMEDIA -- Dante Alighieri

L'AMORE PER LESBIA ( Gaio Valerio Catullo )

Vivamus, mea Lesbia, atque amemus Rumoresque senum severiorum Omnes unius aestimemus assis. Soles occidere et redire possunt: nobis cum semel occidit brevis lux, nox est perpetua una dormienda. Da mihi basia mille, deinde centum, dein mille altera, dein secunda centum deinde usque altera mille, deinde centum. Dein, cum milia multa fecerimus, conturbabimus illa, ne sciamus, aut nequis malus invidere possit, cum tantum sciat esse basiorum

Viviamo, mia Lesbia, e amiamoci e ogni mormorio perfido dei vecchi valga per noi la più vile moneta. Il giorno può morire e poi risorgere, ma quando muore il nostro breve giorno, una notte infinita dormiremo. Tu dammi mille baci, e quindi cento, poi dammene altri mille, e quindi cento, quindi mille continui, e quindi cento. E quando poi saranno mille e mille nasconderemo il loro vero numero, che non getti il malocchio l'invidioso per un numero di baci così alto.

L'AMORE PER LESBIA - Gaio Valerio Catullo

venerdì 28 gennaio 2011

DAI IL MEGLIO DI TE ( Madre Teresa di Calcutta )


L'uomo è irragionevole, illogico, egocentrico
NON IMPORTA, AMALO
Se fai il bene, ti attribuiranno secondi fini egoistici
NON IMPORTA, FA' IL BENE
Se realizzi i tuoi obiettivi, troverai falsi amici e veri nemici
NON IMPORTA, REALIZZALI
Il bene che fai verrà domani dimenticato
NON IMPORTA, FA' IL BENE L'onestà e la sincerità ti rendono vulnerabile
NON IMPORTA, SII FRANCO E ONESTO
Quello che per anni hai costruito può essere distrutto in un attimo
NON IMPORTA, COSTRUISCI Se aiuti la gente, se ne risentirà
NON IMPORTA, AIUTALA
Da' al mondo il meglio di te, e ti prenderanno a calci
NON IMPORTA, DA' IL MEGLIO DI TE

DAI IL MEGLIO DI TE - Madre Teresa di Calcutta

APRILE ( Anna Frank )


"Prova anche tu, una volta che ti senti solo o infelice o triste, a guardare fuori dalla soffitta quando il tempo è così bello. Non le case o i tetti, ma il cielo. Finché potrai guardare il cielo senza timori, sarai sicuro di essere puro dentro e tornerai ad essere Felice."
Aprile ( Anna Frank )

PER RICORDARE (LETIZIA)



Tante, troppe cose l'uomo non deve dimenticare.
Per non dimenticare la Shoà,
per non dimenticare il fratello negro schiavizzato torturato martoriato, 
per non dimenticare la crudeltà dei cuori,
per non dimenticare il pianto innocente di un bimbo fra braccia tenere inerti,
per non dimenticare lo sguardo della sofferenza,
per non dimenticare il vuoto dell'ignoranza l'arroganza delle serpi...
Troppo l'uomo ha da ricordare: Per non riviverlo per non farlo rivivere
per non ricreare l'Inferno né alimentarne le fiamme.
Furore del delitto
terrore della mente
ubriacatura del potere
miseria avvilente
paura di Essere!
Troppo l'uomo ha da disseppellire
da riportare in vita da una morte ingiusta:
La dignità il rispetto l'amore, la fierezza di essere Uomini.
LETIZIA

LA MADRE DI CECILIA



Scendeva dalla soglia d'uno di quegli usci, e veniva verso il convoglio, una donna, il cui aspetto annunciava una giovinezza avanzata, ma non trascorsa; e vi traspariva una bellezza velata e offuscata, ma non guasta, da una gran passione, e da un languor mortale: quella bellezza molle a un tempo e maestosa che brilla nel sangue lombardo. La sua andatura era affaticata, ma non cascante; gli occhi non davan lacrime, ma portavan segno d'averne sparse tante; c'era in quel dolore un non so che di pacato e di profondo, che attestava un'anima tutta consapevole e presente a sentirlo. Ma non era il solo suo aspetto che, tra tante miserie, la indicasse così particolarmente alla pietà, e ravvivasse per lei quel sentimento ormai stracco e ammortito ne' cuori. Portava essa in collo una bambina di forse nov'anni, morta; ma tutta ben accomodata, co' capelli divisi sulla fronte, con un vestito bianchissimo, come se quelle mani l'avessero adornata per una festa promessa da tanto tempo, e data per premio. Né la teneva a giacere, ma sorretta, a sedere su un braccio, col petto appoggiato al petto, come se fosse stata viva; se non che una manina bianca a guisa di cera spenzolava da una parte, con una certa inanimata gravezza, e il capo posava sull'omero della madre, con un abbandono più forte del sonno: della madre, ché, se anche la somiglianza de'volti non n'avesse fatto fede, l'avrebbe detto chiaramente quello de' due ch'esprimeva ancora un sentimento. Un turpe monatto andò per levarle la bambina dalle braccia, con una specie però d'insolito rispetto, con un'esitazione involontaria. Ma quella, tirandosi indietro, senza però mostrare sdegno né disprezzo, «no!» disse: «non me la toccate per ora; devo metterla io su quel carro: prendete». Così dicendo, aprì una mano, fece vedere una borsa, e la lasciò cadere in quella che il monatto le tese. Poi continuò: «promettetemi di non levarle un filo d'intorno, né di lasciar che altri ardisca di farlo e di metterla sotto terra così». Il monatto si mise una mano al petto; e poi, tutto premuroso, e quasi ossequioso, più per il nuovo sentimento da cui era come soggiogato, che per l'inaspettata ricompensa, s'affacendò a far un po' di posto sul carro per la morticina. La madre, dato a questa un bacio in fronte, la mise lì come su un letto, ce l'accomodò, le stese sopra un panno bianco, e disse l'ultime parole: «addio, Cecilia! riposa in pace! Stasera verremo anche noi, per restar sempre insieme. Prega intanto per noi; ch'io pregherò per te e per gli altri». Poi, voltatasi di nuovo al monatto, «voi», disse, «passando di qui verso sera, salirete a prendere anche me, e non me sola». Così detto, rientrò in casa, e, un momento dopo, s'affacciò alla finestra, tenendo in collo un'altra bambina più piccola, viva, ma coi segni della morte in volto. Stette a contemplare quelle così indegne esequie della prima, finché il carro non si mosse, finché lo poté vedere; poi disparve. E che altro poté fare, se non posar sul letto l'unica che le rimaneva, e mettersele accanto per morire insieme? Come il fiore già rigoglioso sullo stelo cade insieme col fiorellino ancora in boccio, al passar della falce che pareggia tutte l'erbe del prato.
ALESSANDRO MANZONI - I PROMESSI SPOSI

giovedì 27 gennaio 2011

IL TUO CUORE LO PORTO CON ME


Il tuo cuore lo porto con me. Lo porto nel mio.
Non me ne divido mai.
Dove vado io, vieni anche tu, mia amata;
qualsiasi cosa sia fatta da me, la fai anche tu, mia cara.
Non temo il fato perchè il mio fato sei tu, mia dolce.
Non voglio il mondo, perchè il mio, il più bello, il più vero sei tu.
Questo è il nostro segreto profondo, radice di tutte le radici, germoglio di tutti i germogli e cielo dei cieli di un albero chiamato vita, che cresce più alto di quanto l'anima spera, e la mente nasconde.
Questa è la meraviglia che le stelle separa.
Il tuo cuore lo porto con me, lo porto nel mio.
Edward Estlin Cummings.

Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale



Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino. Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio. Il mio dura tuttora, né più mi occorrono le coincidenze, le prenotazioni, le trappole, gli scorni di chi crede che la realtà sia quella che si vede Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. Con te le ho scese perché sapevo che di noi due le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, erano le tue.
Eugenio Montale

Lentamente muore


Lentamente muore chi diventa schiavo dell'abitudine, ripetendo ogni giorno gli stessi percorsi, chi non cambia la marca, chi non rischia e cambia colore dei vestiti, chi non parla a chi non conosce.
Muore lentamente chi evita una passione, chi preferisce il nero su bianco e i puntini sulle "i" piuttosto che un insieme di emozioni, proprio quelle che fanno brillare gli occhi, quelle che fanno di uno sbadiglio un sorriso, quelle che fanno battere il cuore davanti all'errore e ai sentimenti.
Lentamente muore chi non capovolge il tavolo, chi è infelice sul lavoro, chi non rischia la certezza per l'incertezza, per inseguire un sogno, chi non si permette almeno una volta nella vita di fuggire ai consigli sensati.
Lentamente muore chi non viaggia, chi non legge, chi non ascolta musica, chi non trova grazia in se stesso. Muore lentamente chi distrugge l'amor proprio, chi non si lascia aiutare;
chi passa i giorni a lamentarsi della propria sfortuna o della pioggia incessante.
Lentamente muore chi abbandona un progetto prima di iniziarlo, chi non fa domande sugli argomenti che non conosce, chi non risponde quando gli chiedono qualcosa che conosce.
Evitiamo la morte a piccole dosi, ricordando sempre che essere vivo richiede uno sforzo di gran lunga maggiore del semplice fatto di respirare.
Soltanto l'ardente pazienza porterà al raggiungimento di una splendida felicità.

(TRATTASI DI UNA POESIA DI MARTHA MEDEIROS, BRASILIANA DI PORTO ALEGRE, PUBBLICITARIA E CRONISTA PER ZERO HORA, erroneamente attribuita a Pablo Neruda).

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